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Il carcere di Roumieh: un focolaio per terroristi

Di Esperance Ghanem. Al-Monitor (29/08/2014). Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello.

Mille storie ruotano intorno alla prigione di Roumieh, il più grande centro di detenzione libanese. Inaugurato nel 1970, si trova nella zona orientale di Beirut, è costituito da sei edifici ed è attrezzato per ospitare 1.500 prigionieri, ma attualmente ne detiene più di 3.000. Ma perché Roumieh è associato a espressioni come “bomba a orologeria”, “camera di operazione terroristica” ed “emirato islamista” utilizzate da vari funzionari libanesi? Perché il suo nome risuona ogni volta che il Libano vive una crisi securitaria?

Secondo alcune fonti della sicurezza la situazione di Roumieh cominciò a cambiare dopo gli incidenti di Danniyeh, nel 2000, quando l’esercito libanese combatté il gruppo terroristico Takfir wal-Hijra. Prima di Danniyeh molti dei detenuti accusati di crimine organizzato e tradimento erano tradotti a Roumieh. Oggi, tuttavia, vi sono prigionieri di natura diversa. Sono accusati di terrorismo.

La maggior parte delle persone arrestate per terrorismo sono state portate a Roumieh perché nelle altre prigioni libanesi manca un adeguato livello di sicurezza. Inoltre, Roumieh è vicino al Tribunale Militare, il che diminuisce i rischi derivanti dal trasporto dei prigionieri. Alcuni detenuti sono già stati condannati, altri invece sono in attesa del processo. Questi ultimi occupano una sezione separata, che loro hanno organizzato in un “emirato” togliendo le porte delle celle per trasformare il blocco in uno spazio senza pareti, con una presenza di forze di sicurezza assente o trascurabile.

Questi detenuti hanno delle regole proprie, separate da quelle del carcere, la cui violazione può essere punita addirittura con la morte. I prigionieri comunicano facilmente con il mondo esterno ed hanno anche il permesso di chiamare programmi televisivi per esprimere le loro opinioni. Il carcere non è in grado di ospitare tanti detenuti né per capacità né per livello di sicurezza. In aggiunta, alcune guardie sono colluse con i prigionieri islamici e sono state spesso indagate per negligenza professionale, soprattutto dopo i ripetuti tentativi di fuga.

Secondo le fonti, le divisioni settarie e politiche in Libano, insieme con l’islamismo ed i ritardi nei processi hanno dato modo ad alcuni partiti e alle famiglie dei prigionieri di parlare di “ingiustizia” nel trattamento dei detenuti. Chakib Qortbawi,ex ministro della Gisutizia, ritiene che parlare del “ritardo nei processi” è una maniera per far apparire i detenuti “vittime dell’ingiustizia”.

Perché la situazione nel carcere non viene affrontata? Qortbawi ha detto che le ragioni sono politiche e che il governo e il Consiglio di Difesa Superiore hanno escogitato delle misure per controllare meglio la situazione nella prigione. Il carcere di Roumieh , però, è un focolaio di estremisti, proprio come il campo profughi di Ain al-Hilweh, Tripoli e Arsal. Se non viene presa una decisione politica per ovviare a questa situazione, rimarrà una bomba a orologeria.

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