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Bahrein: il parlamento e la strada

Di Salman Aldossary. Asharq al-Awsat (02/11/2014). Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello.

Mentre il Bahrein si avvicina al quarto anno di crisi – una crisi di natura più securitaria che politica – i problemi interni del più piccolo Paese del Golfo non mostrano alcun segno di cedimento: né le misure di sicurezza impiegate recentemente dal governo hanno avuto effetti tangibili, né è servita la discesa in piazza dell’opposizione sciita a raggiungere degli obiettivi. E nonostante una serie di riforme proposte dal governo di Manama, l’opposizione continua a remare contro e non collaborare.

Di recente hanno avuto luogo tre sviluppi che l’opposizione, neppure nei suoi sogni più sfrenati, si sarebbe mai aspettata accadessero così repentinamente. Il primo è stato la transizione dall’Assemblea Nazionale al parlamento eletto dal popolo. Il secondo riguarda una serie di recenti riforme che richiedono al governo di sottoporre tutti i programmi politici ad un voto parlamentare, così da non permettere più al re di sciogliere il parlamento o il gabinetto, ed implementare meccanismi che permettono ai parlamentari di interrogare il governo e il primo ministro sulle loro politiche e decisioni. Il terzo, invece, è costituito dalla riforma delle circoscrizioni elettorali, che garantirà un voto più equo tra i cittadini. Sono tutte misure a lungo invocate dall’opposizione sciita di Al-Wefaq. Tuttavia, quando finalmente ha ottenuto ciò che voleva, ha deciso non solo di boicottare le elezioni parlamentari, ma anche di impegnarsi in una campagna di allarmismo per scoraggiare i potenziali candidati sciiti.

A mio parere, il governo del Bahrein ha un problema quando si tratta di pubblicizzare le sue riforme. Gli sviluppi di cui sopra sono riforme sostanziali – avviate nel 2001 dallo sceicco Hamad Bin Isa Al Khalifa. Tuttavia, queste riforme sono passate praticamente inosservate: Manana non è stato capace di dare loro l’attenzione che meritavano, di conseguenza nessuna delle numerose riforme che il governo ha emanato di recente ha raggiunto i cittadini comuni. Né queste riforme hanno avuto risonanza fuori al di fuori del Paese. La vita politica in Bahrein è ormai limitata a infiammare le passioni per la strada, a bruciare le auto, a chiudere le strade, o a guidare proteste isolate. In altre parole, praticamente inutile.

Al-Wefaq ha scommesso, rischiando tutto, sugli eventi regionali. Inoltre, si è allontanato dai suoi principali sostenitori, quelli scesi per le strade del Bahrein, invischiandosi giorno dopo giorno, sempre di più, con il “Sommo Alleato Estero”, cosa che ha screditato la sua posizione in modo drastico. E per quanto riguarda l’affidamento sugli aiuti dell’Occidente, si tratta di una questione che è a dir poco legata ai mutevoli interessi politici: si veda l’Unione Europea che sta chiedendo all’opposizione di riconsiderare la sua decisione di boicottare le elezioni “al fine di ripristinare la fiducia e la stabilità”; d’altronde è la stessa reazione che ha avuto il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon.

Secondo un intellettuale del Bahrein, Ali Fakhro, lavorare alla creazione di una democrazia è una lotta a lungo termine. Tuttavia, fino a quando l’opposizione sciita insisterà a condurre il gioco politico al di fuori della legittima arena del parlamento, e fino a quando continuerà a scommettere sul potere della strada perderà e trasferirà lentamente tutto quello che ha conquistato nelle mani del governo al potere.

Boicottando le elezioni, Al-Wefaq ha di fatto tagliato il suo ultimo legame con la vita politica del Bahrein ed vanificato la sua ultima speranza di raggiungere quelle richieste a lungo perorate all’interno della legittima arena del parlamento, preferendo invece condurre e infiammare le passioni della strada.

Ora ditemi, un’opposizione matura, ragionevole, avrebbe commesso un tale suicidio politico?

Salman Aldossary è il caporedattore del quotidiano Asharq al-Awsat.

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