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Baghdad e la musica tradizionale verso il suo splendore d’un tempo

baghdadDaily Star Lebanon (03/03/2013). Hussein Abdullah impugna il suo oud – antico simbolo della musica irachena – e sospira: “Agli iracheni non importa del loro retaggio musicale – in tv senti solo cantanti svociati…”. Mentre i suoi coetanei possono aver scelto di suonare la batteria o la chitarra, correlandole a testi moderni, il venticinquenne Hussein ha scelto l’oud, nel tentativo di riportare in auge la musica tradizionale irachena, da molto tempo in declino. Hussein è uno dei sempre più numerosi studenti del Musical Studies Institute di Baghdad, fulcro della musica tradizionale irachena e fucina di nuovi talenti. A compiere gli sforzi maggiori c’è Sattar Naji, direttore dell’istituto, che afferma: “Adesso va meglio [rispetto ai tempi dell’invasione americana in Iraq]: allora avevamo sì e no 30 studenti”.

Oggi il numero è quintuplicato, con più di 150 talenti che frequentano la scuola. Dal 2005 al 2008 l’Iraq era preso nella morsa di una feroce guerra settaria che ha ucciso decine di migliaia di persone. A quei tempi la musica, anche nella sua forma tradizionale, era spesso presa di mira dagli insorti. “Dal 2005 al 2007, mentre studiavo qui in istituto, avevo timore di portare gli strumenti con me anche fuori,” dice Murad, flautista in una orchestra di musica tradizionale, “Avevo perfino paura di dire ai miei vicini che studiavo musica”. Seppure in un Paese ancora attraversato da violenze (in Iraq sono state uccise solo nel mese di gennaio 246 persone), la sicurezza ha migliorato il suo status da quei giorni neri, e i musicisti hanno sperimentato una libertà maggiore.

La sfida che incontrano oggi è però un’altra: mancanza di risorse e di ascoltatori. A risentire di queste difficoltà è stata per esempio la maqam – una forma di musica lenta sviluppatasi nel periodo della fondazione del moderno Iraq – che oggi è quasi scomparsa. In molti stanno cercando di far sì che l’oud non segua un destino simile. Il governo iracheno ha avuto “altre priorità rispetto all’incoraggiare la musica,” dice Hassan Shakarij, a capo del settore musicale inserito nel ministero della Cultura, “Ma non possiamo combattere la violenza solo con le armi.  La cultura è alla base di tutto – musica, letteratura, poesia: hanno tutte una grossa influenza”. E forse ancor più della mancanza di sostegno da parte del governo, ciò che ha minato la musica tradizionale è stato anche l’avvento del pop. “I canali satellitari stanno distruggendo il nostro retaggio, con musica frivola e ragazze semisvestite: canzoni di bassa lega che non evocano alcuna passione,” dice al riguardo il direttore dell’istituto, Naji

Ma Hussein, il giovane suonatore di oud, rifiuta d’arrendersi. Con tre amici ha fondato un gruppo di musica tradizionale: lui all’oud, Mohammed al piano, Ahmed alla voce e Ghassan al violino. Traggono la propria ispirazione da ciò che ha a lungo fatto parte delle canzoni irachene – melodie lente e accattivanti, dove profondità ed introspezione hanno la precedenza su un tono orecchiabile. “Vogliamo suonare gratis in luoghi pubblici,” dice Mohammed, “Abbiamo chiesto il permesso a Zawraa Park (nel centro di Baghdad) per suonare fuori, ma c’hanno mandato al ministero della Cultura”. Il pianista aggiunge che “i ristoranti di Abu Nawas (la strada principale che percorre le rive del fiume Tigri) non ci darà l’elettricità per collegare i nostri strumenti”. Poi si sforza di sorridere e conclude: “È davvero frustrante”.

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