No. L’Arabia Saudita non manderà nessuna donna alle olimpiadi di Londra 2012. Così hanno deciso le autorità del paese dove l’islam trova la sua interpretazione più serrata. In un gesto di grande “tolleranza” il principe Nawaf bin Faisal, responsabile dell’Agenzia del Benessere Giovanile e membro del Comitato Olimpico Internazionale, ha dichiarato che possono partecipare solo le donne saudite residenti all’estero. In quel caso lo stato wahabita è disposto a garantire il suo aiuto purchè la loro partecipazione sia “conforme alla legge islamica”.
Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) è davanti ad una vera sfida. Quale credibilità ha un’istituzione che ammetta la partecipazione di un paese che vieta la pratica dello sport alla metà della sua popolazione? Un paese dove le donne devono essere nascoste dietro a tutti i tipi di veli, dove non possono guidare e nemmeno viaggiare (se hanno meno di 45 anni) senza un tutor maschio…
Dal 1964 al 1990 il CIO ha vietato al Sudafrica di partecipare a causa dell’apartheid contro i neri. Nel 1999 erano gli afghani, per come il regime talibano trattava le donne. Gli stessi motivi si ripetono oggi, nel 2012, con l’Arabia Saudita. La sfida del CIO e di tutta la comunità internazionale è se i principi morali sono uguali per tutti o ci sono Stati che hanno più “diritti” degli altri per discriminare e calpestare la dignità dei loro popoli?
L’Occidente ha preso da molto tempo la sua posizione: l’Arabia Saudita è un paese moderato che bisogna difendere. Davanti ai suoi interessi l’Occidente ha le idee chiare e, sicuramente, chiuderà anche questa volta gli occhi. L’odore del petrolio è troppo forte per poterli aprire.
Zouhir Louassini
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