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Un antidoto al fanatismo: i Sufi

Di J. Bell e J. Zada. Al-Jazeera (06/10/2014). Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello.

Nel 2012, i militanti estremisti in Libia, animati dalla lotta per estromettere Muammar Gheddafi, si sono riversati in quella terra di nessuno che è il nord del Mali. Lì, hanno cooptato la ribellione Tuareg, ritagliandosi un santuario e la base da cui partire per consolidare il loro dominio. Dopo aver conquistato l’antica città di Timbuktu, i militanti hanno distrutto i siti culturali della città e numerose biblioteche. Durante la marcia volta a rimodellare la realtà a loro immagine, gli estremisti hanno anche demolito numerosi santuari e moschee, appartenenti al Patrimonio Mondiale dell’UNESCO e dedicati ai sapienti sufi.

Azioni, in gran parte dimenticate, che hanno lasciato il posto alla barbarie più grande in cui è coinvolto Daish (conosciuto in occidente come ISIS), che ha travolto l’Iraq e la Siria. Anche qui, gli attacchi alla diversità e alla tolleranza e ai siti sufi, come la città di Mosul, sono diventati parte della violenza.

La demolizione dell’architettura sufi non può essere paragonata per tragedia e orrore all’uccisione di innocenti, ma è comunque notevole. I sufi hanno svolto un ruolo importante nell’Islam, e non solo. Questo mese segna il 50° anniversario della pubblicazione de “I sufi”, scritto dal compianto Idries Shah. Shah afferma che i veri sufi sono seguaci di una tradizione secolare di conoscenza empirica, flessibile e in continua evoluzione,  volta a portare i suoi aderenti a una vera comprensione della natura della realtà. Non è un sistema di pensiero o un processo accademico ma uno stile di vita che ha influenzato anche l’Europa e l’Occidente.

Con il suo approccio flessibile e organico alla vita e la sua mancanza di esclusivismo, il Sufismo rappresenta un potente contrappunto alle fissazioni dogmatiche e violente degli estremisti di tutto il mondo. In contrasto con l’estremista chiuso, ignaro e spesso ostile al suo contesto, il Sufi potrebbe essere definito come colui che è aperto, attraverso l’esperienza e l’apprendimento, a qualsiasi possibilità adeguata ad un orizzonte sempre più ampio di contesti.

La strada Sufi inizia con la realizzazione, e l’ammissione, che siamo un fascio di riflessi e condizionamenti che guidano i nostri pensieri e comportamenti, rendendoci automatici. Il modo di pensare e di apprendere che Shah descrive ne “I Sufi” ha un obiettivo generale: facilitare la liberazione da queste catene e dagli idoli a cui ci legano, siano essi materiali, mentali o emozionali. È attraverso questa strada, lontano dalla fissazione sulle forme e gli estremismi, che si aprono nuove e più appaganti possibilità.

“Siamo infinitamente perfettibili attraverso la sintonia con l’intera esistenza”, scrive Shah. Attraverso un equilibrio tra fisico e lo spirituale, in cui tutta la vita è il mezzo attraverso il quale noi siamo ridefiniti, possiamo perseguire il nostro apprendimento – anche attraverso i nostri errori.

In questo momento di grande disordine e confusione nel mondo, “I Sufi” ci ricorda che c’è una strada da percorrere verso la chiarezza, la coerenza e la saggezza, e soprattutto una connessione a uno scopo più grande. L’inizio è l’apertura a questa stessa possibilità.

John Bell, ex diplomatico canadese, è direttore del Middle East Programme al Toledo International Centre for Peace di Madrid.

John Zada è un giornalista free-lance che vive a Toronto.

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