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Algeria: Ramadan di seconda mano

Nonostante il disinteresse strategico dei partiti politici, come ogni Ramadan arrivano da Tizi Ouzou, cuore della Cabilia, appelli per la libertà di coscienza e la fine dell'identificazione obbligata tra cittadinanza algerina e identità islamica.

Da Le Matin dz (1/8/2013). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo

Nonostante il disinteresse strategico dei partiti politici, come ogni Ramadan arrivano da Tizi Ouzou, cuore della Cabilia, appelli per la libertà di coscienza e la fine dell’identificazione obbligata tra cittadinanza algerina e identità islamica.

Tra le Ramadaniyat, vicende esemplari del mese sacro del digiuno islamico, non poteva mancare anche quest’anno il dibattito sulla coercizione confessionale imposta dallo stato, una deriva di cui molti osservatori attribuiscono la colpa alla collusione tra la corrente “rivoluzionaria” (il clan dei militari e del Fronte di liberazione nazionale, Fln, al potere dall’indipendenza) e quella dell’islam politico. Che sia o meno un tentativo di garantire la concordia nazionale dopo il decennio nero è tutto da accertare. Sta di fatto che l’islamizzazione dello stato sfocia spesso e volentieri in una sorta di ansia moralizzatrice, che pervade persino le auto di pattuglia della polizia di stato. Nelle lunghe giornate che in questo mese sacro scorrono a passo di lumaca, i servizi di sicurezza non trovano di meglio da fare che prestare orecchie professionali ai sicofanti. Perlopiù passanti, che vedono per caso qualcuno che, per sfinimento o semplicemente posizioni religiose diverse, sorseggia acqua o spizzica bocconi di cibo nelle ore del digiuno rischiando fino a quattro anni di reclusione per offesa all’islam. Il digiuno è sforzo e lo sforzo, si sa, unito al clima torrido, provoca slanci di ira che poco hanno a che vedere con la sana devozione.

A cinquantuno anni dall’indipendenza dalla Francia, il clima di segregazione sembra duro a morire. I non musulmani ancora non godono di piena cittadinanza, come se vi fosse un legame indissolubile tra questa e il credo (o il non-credo) personale. Peggio ancora, come se l’articolo 2 della costituzione algerina, che definisce l’islam religione di stato, vanificasse da solo il rimanente testo, tutto improntato all’uguaglianza dei cittadini in termini di diritti civili, politici e davanti alla legge. Viene quindi ritenuto immorale essere ebrei, cristiani, buddisti o atei in pubblico, in barba a una delle conquiste più significative della fondazione dello stato algerino: il rifiuto della teocrazia.

Essere algerini dunque viene identificato con l’essere arabi e musulmani, per gli altri, non musulmani e berberi, resta una cittadinanza di seconda mano. Questo stato assurdo è nato dall’allontanamento della famiglia rivoluzionaria (militari e Fln) dalla sostanza originaria del movimento nazionale algerino e dall’alleanza con una corrente islamica che affonda le sue radici tra gli wahhabiti del Golfo. Il prodotto è una sorta di corrente islamo-nazionalista, altrettanto priva di senso che l’islamo-baathismo dell’ultimo Saddam Hussein in Iraq. In altri termini, un apparato di stato di impronta laico-nazionalista che utilizza l’islam come collante nazionale e argomento di propaganda a costo zero. Basti pensare che i Fratelli musulmani, ora inquadrati nell’islam moderato, in Algeria sono comparsi solo a metà degli anni ’60, quando la lotta di liberazione, condotta da nazionalisti e socialisti (entrambi movimenti laici) era già finita da un pezzo e quando la posta in gioco ormai era solo la spartizione del potere. Buon appetito!