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Aleppo non è una sorpresa

Al-Sharq Al-Awsat (20/05/2012). Traduzione di Cristina Gulfi

Fa infuriare la reazione della comunità internazionale, dei mass media arabi e di quelli occidentali allo scoppio delle rivolte ad Aleppo. C’è la sensazione diffusa che Aleppo abbia “sorpreso tutti” mentre non è il caso. Può essere così per il regime di Assad, che vive ormai fuori dal mondo, ma non per i mass media e la comunità internazionale.

Quando una rivoluzione va avanti da 14 mesi in un paese sotto un regime oppressivo e settario, come sta accadendo in Siria, vuol dire che sotto le ceneri c’è un fuoco ad alimentare i disordini. La reazione alle manifestazioni di Aleppo fa infuriare perché alcuni, per non dire molti, non fanno che esprimere stupore per la rivoluzione siriana e più in generale per gli eventi nella regione mediorientale, sia degli ultimi vent’anni sia futuri. Con il dovuto rispetto per coloro che ritengono che nessuno avrebbe potuto prevedere la cosiddetta primavera araba, i fatti dai tempi dell’occupazione del Kuwait ad un anno fa, ma anche fino ad oggi, suggeriscono il contrario, e cioè che si stava preparando un momento di esplosione in Medio Oriente. Al-Sharq al-Awsat, come pure altri giornali, ha lanciato questo avvertimento da tempo.

La politica non è un bollettino meteo. Chi avesse voluto studiare seriamente la situazione in Medio Oriente, avrebbe dovuto iniziare dall’occupazione del Kuwait da parte di Saddam Hussein o forse prima. Avrebbe così scoperto che le “placche” politiche della sicurezza araba e delle relazioni tra i diversi paesi si erano incrinate e una serie di terremoti avrebbe inevitabilmente sconvolto la regione. Ma l’attenzione più che su rivoluzioni, colpi di stato o crolli di governi è stata puntata sui dettagli.Se pensiamo, ad esempio, al fenomeno del terrorismo in Medio Oriente, ci rendiamo conto che risale al cosiddetto Jihad contro l’Unione Sovietica in Afghanistan, dove dopo la guerra nessuno si preoccupò della presenza di combattenti stranieri né della fase di transizione.

Lo stesso vale per lo Yemen, dove gli indicatori suggeriscono da diversi anni che il paese stava andando incontro ad una crisi che si sarebbe riflessa su quelli vicini. Basti considerare il caso più evidente, quello degli Houthi. In Egitto, invece, la crisi del potere e la corruzione, combinate all’esplosione demografica, alla povertà e alla disoccupazione, sarebbero state un mix fatale per qualsiasi regime. Per quanto riguarda l’Iran, fin dalla rivoluzione di Khomeini l’intera regione soffre di infiltrazioni iraniane, al punto che un settarismo mortale si è ormai diffuso in tutto il Medio Oriente. È ora di smetterla di stupirsi dì ciò che accade in Medio Oriente. Occorre piuttosto un’azione istituzionale, di monitoraggio e di analisi che si relazioni con i fatti in tempo reale. Affrontare il regime siriano è oggi la priorità per il mondo arabo poiché costituisce una minaccia per la sicurezza dell’intera regione.