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Afghanistan, Matiullah Turab, fabbro di giorno poeta di notte

header-JP-POET-articleLargeArticolo di Katia Cerratti

 “Il compito di un poeta non è scrivere di amore,  né di fiori. Un poeta deve scrivere dei drammi e dei dolori della gente ”. Parole dure, quasi come il metallo che ogni giorno Matiullah Turab, 44enne pashtun, forgia nella fatiscente officina di Khost, un villaggio afghano dove si guadagna da vivere come fabbro, riparando vecchi camion provenienti dal Pakistan.

In quel piccolo garage disordinato e sporco di grasso, si consuma la sua giornata, accanto a venditori di frutta e di ghiaccio, nel lento procedere di camion e convogli americani che dalla strada di fronte si dirigono verso il Pakistan. Ma di notte avviene  il miracolo, la crisalide diventa farfalla e si trasforma in un accorato poeta che, seppur quasi analfabeta, dà voce ai sentimenti di tanti afghani, vittime, ormai da decenni, di guerre e sofferenze.

Nato nella provincia di Nangarhar, da una povera famiglia di contadini, il fabbro poeta si è avvicinato alla poesia sin da bambino, ascoltando i versi del poeta del villaggio. Vissuto in Pakistan per vent’anni dopo l’invasione sovietica del ’79, Matiullah è tornato in Afghanistan e pian piano, il modesto numero di fan che lo seguiva, è cresciuto fino a renderlo uno dei poeti più apprezzati di tutto l’Afghanistan. Le sue poesie spopolano su youtube, il presidente Karzai lo ha invitato nel suo palazzo e a breve farà un viaggio a Mosca per ritirare un premio assegnatogli dai membri della diaspora afghana.

Un gran successo dunque, in un contesto estremamente difficile, l’Afghanistan, la guerra, i talebani, la povertà, ma la forza di Matiullah sta proprio nel fatto che non risparmia nessuno nella sua produzione artistica, dal governo ai talebani, agli americani:“Non c’è alcun politico genuino in Afghanistan, -ha dichiarato al New York Times – per quanto ne so, i politici hanno bisogno del sostegno della gente e nessuno di essi ne ha. Sono come gli azionisti di un’impresa, pensano solo ai loro interessi e al loro profitto”.  

Ai talebani, che lo hanno picchiato soltanto per aver pubblicato un libro di poesie, Matiullah riserva lo stesso disprezzo perché hanno seminato terrore e destabilizzato l’Afghanistan.  Altrettanto critico nei confronti della presenza americana, si  sente però in dovere di riconoscere che se è arrivato un po’ di progresso come strade, scuole , elettricità e altro, è proprio grazie ad essa.

Matiullah apprezza molto il suo lavoro di fabbro e per questo non si sente ancora del tutto un poeta,  anche se le sue poesie sono state tradotte persino dal New York Times. Sin da bambino ha saputo dare valore a quel poco che la vita gli offriva e anche adesso, poter lavorare in officina è per lui una gran fortuna. Ma a tanta semplicità si accompagna altrettanta profondità di sentimenti  e sul concetto di democrazia inteso come eliminazione delle leggi tribali che da sempre contraddistinguono l’Afghanistan, Matiullah spiazza tutti, regalandoci un’amara riflessione:“La medicina prescritta dalla democrazia non è adatta a questa società”.