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Ad Haifa, un ristorante arabo-ebraico che conosce la ricetta della coesistenza

ristorante maxim haifa

Di Judy Maltz. Haaretz (17/10/2015). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

È l’ora di pranzo al Maxim: normalmente è l’ora di punta del ristorante, col chiacchiericcio dei clienti, la maggior parte dei quali ordinano kebabfelafel. Ma oggi più della metà dei tavoli è vuota. L’unico tavolo pieno è occupato da alcuni turisti americani che parlano del fatto che arabi ed ebrei non vivono negli stessi quartieri a Haifa.

Oggi, la nuova ondata di violenza spinge molti israeliani a restare a casa e questo ha colpito molto il campo della ristorazione della città. Ma Maxim non è solo un posto dove mangiare hummus. Il ristorante, proprietà di un arabo e un ebreo, è una rarità nel giro d’affari israeliano. In questo mese, celebra due anniversari – uno felice, uno tragico.

Cinquant’anni fa, la famiglia araba cristiana dei Mattar e quella ebrea dei Tayar aprirono questo ristorante popolare di cucina mediorientale, proprio all’entrata nord della città. Le due famiglie, entrambe di Haifa e con radici libanesi, sono rimaste in affari da allora, col bello e il cattivo tempo.

Fu invece 12 anni fa, all’apice della seconda Intifada, che si consumò proprio in questo ristorante uno dei peggiori attacchi terroristici nella storia israeliana. Il 4 ottobre 2003, un’attentatrice suicida di Jenin entrò nel locale mentre era pieno di gente e si fece saltare in aria. Nell’attacco morirono 21 persone e altre 100 rimasero ferite.

Da allora, per molti israeliani Maxim è diventato il simbolo del meglio e del peggio delle relazioni arabo-ebraiche.

Oggi è la seconda generazione di proprietari a gestire il ristorante e quanto vedono la violenza che travolge il Paese, sono allo stesso tempo tristi e ottimisti.

“Se non avessi speranza, avrei chiuso questo posto da un pezzo”, dice Tony Mattar, figlio del partner arabo originario. Lui e i suoi soci hanno hanno pensato spesso di lasciar perdere tutto: “Un mese dopo l’attacco terroristico, eravamo davvero tentati a non riaprire”, ricorda, “ma abbiamo capito che se ci fossimo arresi, sarebbe stata una vittoria per l’odio e per il male. Siamo sempre stati visti come un simbolo della coesistenza arabo-ebraica in questo Paese e non vogliamo che questa simbologia venga distrutta”.

In questi giorni, gli affari al Maxim non vanno a gonfie vele, come ovunque nel Paese. “Ho portato mia madre qui l’altro giorno”, ha detto Orly Nir, figlia del partner ebreo originario, “e le sono venute le lacrime quando ha visto quanto era vuoto. Ma Tony ci ha rassicurate dicendoci di non prenderla sul personale, che la gente in questi giorni non ha il desiderio di uscire”.

Molto prima che le famiglie Mattar e Tayar forgiassero la loro relazione d’affari, erano state buone amiche e vicine: “Molte persone, allora, ci mettevano in guardia dal fatto che non avrebbe funzionato, ma gli abbiamo dimostrato che si sbagliavano”, ha detto Tony.

Ancora oggi, le due famiglie celebrano le rispettive festività religiose e gli eventi più importanti insieme; spesso vanno persino in vacanza insieme. “Di solito, le donne di entrambe le famiglie si incontrano una volta a settimana”, dice Nir, “ma in momenti come questi, quando le cose vanno così male, sentiamo il bisogno di vederci più spesso, anche ogni giorno. Ci aiuta a superare crisi come questa”.

Tony crede che il problema principale che arabi ed ebrei devono affrontare oggi è la mancanza di leadership: “Hanno tutti paura di prendere decisioni, sia i leader ebrei che quelli arabi. Dallo scoppio di quest’ultima ondata di violenza, tutto quello che abbiamo sentito da loro è che dobbiamo difenderci. Non una parola su come risolvere la situazione”, dice.

Ibrahim Abu-Abbas, un cliente abituale sin dall’apertura di Maxim, è d’accordo con Tony: “Il nostro problema è Bibi”, dice riferendosi al premier israeliano Benjamin Netanyahu. “Quello che deve fare è sedersi al tavolo dei negoziati e fare la pace una volta per tutte”.

Nir dice che, da un punto di vista politico, i membri della sua famiglia tendono più al centro e non si definirebbero mai di sinistra. Tuttavia, sin dalla guerra a Gaza della scorsa estate, lei è diventata più attiva all’interno del movimento Women Wage Peace: “So che sembra illogico, ma sono ottimista sul futuro. In questi giorni, vedo nascere sempre più iniziative nel Paese che promuovono la coesistenza tra arabi ed ebrei. Di solito venivano lanciate solo da ebrei, ma ora vedo anche molti arabi più coinvolti e questo mi dà speranza”, dice Nir.

Judy Maltz è una giornalista e documentarista israeliana.

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