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La Libia canta il Natale nella Chiesa di San Francesco

Al-Arabiya (21/12/2015). Traduzione e sintesi di Giusy Regina

Nella capitale della Libia devastata dalla guerra, una comunità cristiana di lavoratori stranieri decide di lasciare a casa la paura e si riunisce davanti alla Chiesa per canti di Natale e risate in compagnia.

Lisa, un’infermiera filippina di 47 anni, ha detto di aver appena celebrato la festa delle luci “per il decimo anno consecutivo” lì nella Chiesa di San Francesco, riferendosi all’inizio dell’Avvento e alla stagione di Natale.

Lisa, che ha lavorato in una clinica privata a Tripoli per ben 15 anni, tiene una candela in una mano mentre si sistema sulla testa il cappello di Babbo Natale con l’altra. Intorno a lei, i bambini eccitati le corrono intorno, prima di essere portati ia catechismo.

Dalla caduta del dittatore Muammar Gheddafi nel 2011, le paure della piccola comunità per la propria sicurezza sono aumentate, soprattutto dopo che i militanti hanno affermato di aver ucciso decine e decine di cristiani nel Paese quest’anno. Ma ogni venerdì, giorno di riposo in Libia, la comunità cristiana si riunisce per pregare nell’ancora affollata Chiesa di  San Francesco, l’unica della capitale ancora aperta. In un cortile centrale invece, uomini e donne provenienti da Filippine, India e diverse nazioni africane vendono e si scambiano notizie su quanto costano i prodotti alimentari provenienti dai loro paesi d’origine. Riso e zuppa di arachidi sono in offerta accanto a tessuti colorati, casalinghi e prodotti per capelli specializzati.

La maggior parte degli occidentali sono andati via dalla Libia dopo l’agosto 2014, quando il governo riconosciuto a livello internazionale è stato costretto a fuggire. Ma i lavoratori provenienti da Asia, Africa e altre parti del mondo arabo, avendo ben poche speranze di trovare un lavoro tornando casa, hanno scelto di restare.
“Prima della rivoluzione del 2011 che ha rovesciato Gheddafi, erano più di 100.000 i cristiani vivevano in Libia”, ha detto padre Magdi, un sacerdote egiziano arrivato in Libia prima della rivolta. “Oggi siamo solo 5.000, di cui meno di 1.000 a Tripoli”, ha concluso.

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