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Iraq, perdite superiori ai guadagni

IraqDi Feisal Amin Rasoul al-Istrabadi. The Daily Star (25/03/2013). Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello.

Venticinque anni fa, il 16 marzo 1988, le truppe di Saddam Hussein impiegarono gas velenosi nella città curda di Halabja. L’attacco, che uccise circa 5.000 persone e ne ferì oltre 10.000, rimane il più grande attacco chimico a danno della popolazione civile. Alla luce delle atrocità di Halabja, della più ampia campagna di genocidio di Anfal condotta dal regime contro i curdi e della repressione di massa in tutto il paese, la domanda “L’Iraq oggi è migliore di quanto lo fosse ai tempi di Saddam Hussein?” sorge spontanea. Gli iracheni si sono liberati di un dittatore responsabile della morte di almeno 1 milione di connazionali, un uomo che ha coinvolto il paese in tre guerre in 24 anni e la cui politica (con la complicità della comunità internazionale) ha costretto gli iracheni  alle più severe sanzioni mai imposte dalle Nazioni Unite.  Sì, senza questo despota l’Iraq è migliore.

Ma per quelli di noi che dal 2003 hanno partecipato al tentativo di ricostruire l’Iraq, questa risposta è troppo superficiale. Per valutare il successo della guerra bisogna considerare se i suoi obiettivi – in particolare la creazione di una democrazia costituzionale e la ricostruzione economica del paese – sono stati raggiunti. Da questo punto di vista, la guerra in Iraq è stato un fallimento colossale.

I partiti sciiti, avendo sperimentato per la  prima volta il potere in Iraq, cercano di creare uno stato molto più centralizzato di quello che i Curdi e i Sunniti iracheni – o la Costituzione stessa- potrebbero tollerare. Intanto,  il primo ministro Nouri al-Maliki è riuscito a concentrare il potere nelle sue mani.

Dopo 10 anni, la produzione di petrolio iracheno è tornata al livello di prima della guerra.  Tuttavia il governo non ha completato uno solo dei progetti infrastrutturali: nuovi ospedali, scuole, strade e abitazioni. I servizi di base come l’elettricità e la raccolta dei rifiuti devono ancora essere ripristinati anche in grandi centri urbani come Baghdad. Questa mancanza di progressi è davvero sorprendente visto che i bilanci annuali degli ultimi cinque anni sono pari a quasi 500 miliardi di dollari. L’incompetenza e la corruzione dilagano.

Allo stesso modo, la disoccupazione e i livelli di sottoccupazione rimangono tra i più elevati del Medio Oriente. Il  pubblico impiego è raddoppiato dal 2005 al 2010 ed ora rappresenta circa il 60 per cento della forza lavoro impiegata a tempo pieno. La fuga di cervelli tra i giovani iracheni  ha subito un’impennata negli ultimi dieci anni perché molti di loro semplicemente non vedono alcun futuro nel loro paese.

Amnesty International ha recentemente pubblicato un rapporto dettagliato sull’abuso sistematico dei diritti umani fondamentali in Iraq. Plus ça change, plus c’est la même chose. È vero, la nascente dittatura di Maliki è meno pesante di quella di Saddam e forse questo è un passo avanti.  Ma ciò che è stato guadagnato può essere di gran lunga superato da quello che si è perso: la speranza che se Saddam e la sua tirannia potevano essere rimossi, la decenza, la stabilità e la normalità potevano essere ripristinati. Questa, infine, è la vera tragedia dell’Iraq nel 2013.

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