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‪W-‬Ṭ-N, idee di patria

Marc Chagall - Io e il mio paese (1911)
Marc Chagall - Io e il mio paese (1911)
Marc Chagall – Io e il mio paese (1911)

“Patria! ha gridato il cuore alla vista del salice: così sono i salici in Cina”: una nota positiva della poetessa russa contemporanea Olga Sedakova (tradotta da Annelisa Alleva in Poeti russi oggi) riesce forse a togliere per un attimo frustrazione agli abusi a scapito di una parola come waṭan, patria in arabo. Nel capitolo 3 di Language and Change in the Arab Middle East : The Evolution of Modern Arabic Political Discourse*** (Ami Ayalon), dal titolo ‘Subjects and Citizens’, apprendiamo che nel corso del XIX secolo waṭan assunse valore di patria “una parola associata a forti sentimenti di attaccamento e lealtà”. Il patriota, ci dice Ayalon, era detto ibn al-waṭan, figlio della patria, e aveva diritti e doveri. Ayalon ci offre la descrizione che il libanese Buṭrus al-Bustānī – forse proprio per primo – diede di questo concetto: “Nel 1860 affermò che ‘è [compito de]gli ibnā’ al-waṭan’ rivendicare la ‘protezione dei loro più preziosi diritti, che sono la vita, l’onore, la proprietà, compresa la libertà dei loro diritti civili, culturali e religiosi’ legati a waṭan, e in cambio dedicarsi al raggiungimento del benessere della propria nazione”. Ami Ayalon riporta poi le parole di Adīb Isḥaq per il quale “non c’è waṭan senza libertà (…) e waṭan non può esistere senza diritti”. Il XX secolo, “con le sue lotte per l’indipendenza e l’affermazione nazionale” – continua Ayalon – rese il concetto di waṭan tale da credere che “probabilmente ispirò la coniazione del termine muwāṭin, che denota un cittadino con diritti politici e legali”.

Se waṭan può divenire un luogo da abbandonare, come nel pensiero contenuto ne Il viaggio del piccolo Gandhi del libanese Elias Khoury in cui si dice che “Non avevamo nulla e non possedere niente significa che bisogna andarsene”, a volte è invece così impalpabile da scaldare come per Adonis che offre “nella luce del giorno una patria”. L’immagine che però sa rendere la pena legata a waṭan quando si è costretti ad allontanarsene me l’ha donata la poetessa ebraica Nelly Sachs, per la quale “Uno straniero porta sempre la sua patria tra le braccia come un’orfana per la quale forse cerca solo una tomba”.

Dalla corrispondenza tra Nelly Sachs e Paul Celan, entrambi poeti, di una poesia che riuscì a dare un luogo a chi non ne sentiva più uno per sé, mi è giunta l’idea di waṭan su cui cerco di riflettere di più. “Con le sue poesie Lei mi ha dato una patria,” scrive Nelly a Paul, “Una patria che credevo avrei conquistato solo con la morte. Così resisto su questa terra”.

Claudia Avolio

 

*** Department of Middle Eastern and African History – Tel Aviv University – Ami Ayalon Lecturer – 1987, Oxford University Press, Inc. (link al testo)