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Ṭ -L-‘, sorgi, curiosità!

Alberto Giacometti nel suo atelier (Robert Doisneau)
Alberto Giacometti nel suo atelier (Robert Doisneau)
Alberto Giacometti nel suo atelier (Robert Doisneau)

Ho raggiunto il corso del fiume di radici arabe. Ho immerso nelle sue acque gli occhi-setaccio. Quando li ho tirati su ho visto affiorare sulla superficie pepite d’oro: il tesoro di parole che ho trovato. Di nuovo una radice che nei suoi primi significati si staglia nel cielo: tala’a, sorgere, apparire. Il levarsi di un astro e lo spuntare di una pianta (o di un dente!) accomunati dallo stesso verbo. “Il sole è l’uomo che lotta per emergere verso un’altra luce,” ha scritto Henry Miller, e la lingua araba mi ha spiegato che vuol dire. L’abbacinante III forma di questo verbo, ṭāla’a, osservare, studiare, lascia storditi “così come si sente la forza meravigliosa del sole davanti a una finestra aperta, dopo che lo si è visto a lungo specchiarsi su lontane colline e posarsi sui prati bagnati dalla rugiada” (Annemarie Schwarzenbach, Dalla parte dell’ombra). Chi osserva e studia brucia come una stella, apre il giorno dissolvendo le coltri di nebbia che offuscano le intuizioni. L’occhio può far sorgere il mattino del pensiero, suggerisce ṭāla’a, se è guardingo e capta i segni precursori (ṭalāi’u). In arabo questo plurale che amo, ṭalāi’u, indica anche i pionieri, cioè coloro che quei segni precursori li attraversano per primi e tracciano una strada nuova. Mi è venuta in mente Emily Dickinson che notava come “mentre imparano a vedere – o mutano le tenebre – o qualcosa nella vista si adatta alla mezzanotte”, e l’energia che in arabo il sorgere del sole fornisce idealmente a chi si ritrova al cospetto dell’inesplorato. Una lingua, quella araba, che ha messo insieme nella parola maṭla’u l’aurora e i primi versi di un poema, e che all’osservare ha legato l’oroscopo (ṭāli’u) e quindi l’astrologia (‘ilm aṭṭawāli’i).

Poi arriva la V forma, taṭalla’a (ilā) che significa sia curiosare che aspirare. Aspiri a qualcosa? Allora sii curioso! Qualunque sia il traguardo, non porti limiti, conosci il più possibile, guardati intorno ovunque ti trovi: ecco cosa mi ha detto questa radice incredibile. “Si deve essere abbastanza filosofi per ammirare anche questo nulla”, scriveva F.W. Nietzsche ne La volontà di potenza, con quell’ammirare che è proprio admiror ‘io mi stupisco di vedere’: poteva la curiosità essere declinata in modo più dirompente? “E l’avventura, la grande avventura, consiste nel veder sorgere qualcosa di ignoto ogni giorno nello stesso volto: un’avventura più grande di qualsiasi viaggio intorno al mondo”, ecco quel che sentiva Alberto Giacometti, ciò che questa radice è in grado di mostrarci. Ed era lo stesso Giacometti a sostenere che “lo spazio non esiste, bisogna crearlo”, come se il primo gesto necessario a questa creazione potesse essere la curiosità. Niente di più vicino alla X forma istaṭla’a, esplorare, perlustrare, e a due aggettivi che designano qualcuno che sia curioso ed impaziente (mutaṭalli’u) ed informato e competente (muṭṭali’u). Se esplori, creerai: potrai competere grazie a ciò che hai visto! “Mi piace vedere e voglio vedere sempre di più e vedere qualcosa di diverso”: ottima sintesi che fa per noi Martin Eden nell’omonimo romanzo di Jack London, e che personalmente non ho potuto resistere dall’annotare a pennarello sul mio armadio.

E se la curiosità vera e propria viene detta in arabo taṭallu’u, c’è al suo fianco un’espressione per chiamarla che è in assoluto tra le mie preferite, la pepita più preziosa del fiume: ḥubb al-istiṭlā’i, letteralmente “l’amore per l’esplorazione”. Ritorna Nietzsche, stavolta in Al di là del bene e del male, e il suo pensiero che tanto si accorda per me ai concetti della radice t-l-‘: “Il vero filosofo – non è così per noi, amici miei? – vive in guisa «non filosofica» e «non saggia», soprattutto imprudente, e sente il peso e il dovere di cento esperimenti e di cento tentazioni di vita – e mette continuamente a repentaglio se stesso, giuoca il suo cattivo giuoco…”. Ciò che mi colpisce di più è che un pensiero simile l’ho sentito esprimere anche a Mohamed Choukri, curiosità incarnata: “Avrei cercato i simboli e i giochi della vita, non la sua realtà; cercato l’oscuro e l’enigma, non il semplice e il cristallino; lo sconosciuto più che il conosciuto, il miraggio e non l’acqua”.

 Claudia Avolio