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Ṭ-L-B, inno alla ricerca

Bill Evans
Bill Evans
Bill Evans

Sembra già di sentire un inno arabo di respiro internazionale che riunisca ogni Paese della regione al grido di Ṭalab, ṭalab, ṭalab! (Ricerca, ricerca, ricerca!). Un’orchestra sinfonica i cui strumenti danno vita al verbo ṭalaba, cercare, domandare, studiare. Tre significati uno più vibrante dell’altro, e una sezione ritmica che alla III forma ṭālaba fa esplodere i tamburi col suo reclamare, rivendicare. Ho scoperto che ṭalab, in realtà, non è solo la ricerca, ma anche una richiesta, addirittura un’esigenza: non è quello che prova ogni persona che si accosta a qualche studio? E se la rendiamo al femminile, ṭalabat, entriamo perfino nel sacro, perché è un modo di chiamare la preghiera. Una delle parole che questa radice mi fa amare di più è maṭlab, nel cui involucro la domanda e la rivendicazione si fondono nel desiderio. Di conoscere, di imparare! E deve saperne qualcosa, e molto anche, il vero ṭālib, lo studente, il ricercatore, che al plurale dà quel bel ṭullāb che non so bene perché a sentirlo mi fa sempre pensare a dei fiori, tantissimi fiori, ognuno sensibile a captare le particelle di luce dell’insegnamento. Se come maṭlab anche maṭlūb porta il senso di una rivendicazione – e nello Zanichelli di Eros Baldissera ho trovato scritto tra parentesi proprio “(di un diritto)” – il suo plurale maṭlūbāt indica gli impegni, i debiti. Perché rivendicare il diritto di conoscere implica poi prendersi la responsabilità di ciò che si è appreso, contraiamo un debito verso ciò che abbiamo scoperto e imparato: dobbiamo quantomeno provare a diffonderlo! La lingua araba mi ha spinta verso la parola studente, che in italiano viene da studēre ‘applicarsi’, cioè accostarsi a qualcosa, piegarsi verso di essa. Se ti avvicini a qualcosa ormai sei dentro, ne sei parte e devi portarla con te nel mondo intero: non ci si può sottrarre a ciò che si è imparato. E pensate che la scuola è in realtà uno svago nel suo significato originale, nel senso di scholé ‘tempo libero’, legato a échein ‘intrattenersi’.

A me ha dato molta sicurezza imbattermi un giorno in una intervista del pianista jazz Bill Evans, dal titolo significativo “Il processo creativo e l’autoapprendimento”. Ecco cosa vi ha sostenuto: “Vero è che, la persona che abbia successo in qualcosa, ha sin dall’inizio una prospettiva realistica ed è conscia che il problema è ampio e che deve affrontarlo un passo alla volta. Deve godere della procedura d’apprendimento compiuta passo dopo passo”. Ogni ṭālib sa che è così. E ne volete conoscere uno davvero degno di questa parola? Lo studente egiziano Amr Mohamed, che a 18 anni col suo esperimento in cui voleva spedire dei ragni nello Spazio ha vinto il concorso Youtube Space Lab. Quando è scoppiata la rivoluzione in Egitto e tutte le scuole sono rimaste chiuse per 2-3 mesi, Amr ha dovuto preparare il programma tutto da solo. “La cosa più importante è agire e incoraggiare gli altri a fare lo stesso”, diceva solo un paio d’anni fa, mostrando sulla sua pagina Twitter l’importanza dell’avere interessi più vasti. Dalla celebrazione della giornata del Pi greco all’osservazione di un puntino rosso nel cielo (Marte!) a ciò che accade in Siria e poi… “A mio parere Naguib Mahfouz è il dono più grande che l’Egitto abbia mai conosciuto”. Come Mahmoud Wael, il programmatore egiziano di 14 anni, a cui il premio Nobel egiziano per la Chimica Ahmed Zewail ha consigliato di interessarsi di tutto, di avere una cultura generale più vasta possibile.

Uṭlub al-ʿilm wa law fī Ṣīn, ovvero “Cerca la conoscenza, foss’anche in Cina” (qui una rivisitazione in una vignetta geniale) diceva il Profeta Mohammad. Wang Shu, vincitore del Pritzker Prize 2012, è un architetto cinese di Urumqi nello Xinjiang, la regione della Cina a maggioranza musulmana. “Progetto case non edifici, con l’infinita spontaneità di chi è alle prime armi” ha detto quest’eterno ṭālib Shu, che “ha trascorso anni a studiare il lavoro degli operai, in cantiere insieme a loro”. E se dalla Cina giungiamo solo per un attimo in Giappone incontriamo un altro baluardo di ṭalab, Kengiro Azuma, artista giapponese che da decenni ha scelto di vivere a Milano. Azuma risuona per me nell’orchestra di ṭalab perché ha per esempio un enorme quaderno su cui è importante per lui tracciare ogni giorno dei segni, “senza studiare tanto, in modo molto spontaneo”. Questo per mantenersi in allenamento, per tenere abituata la mano al gesto di riempire degli spazi. A volte gli spazi sono semplicemente delle piccole linee, o dei cerchietti, in simbiosi con quella bella locuzione latina che recita Nulla dies sine linea, “Nessun giorno senza una linea”. Per me uno degli esempi più belli e significativi di studenti e ricerca resta la scuola di Barbiana, cui don Lorenzo Milani ha dedicato la sua vita. Scriveva don Milani: “La parità umana è dunque ben compossibile con un totale dislivello in cultura professionale ed è data dal patrimonio comune di cultura generale. In questa cultura generale il fattore determinante è a nostro avviso la padronanza della lingua e del lessico”. (Esperienze pastorali, p. 220-23, LEF, Firenze 1958). E spiegava poi il senso più semplice e importante di ciò che succede studiando: “Anche le lettere (…) servono solo per insegnare ai ragazzi l’arte dello scrivere, cioè di esprimersi, cioè di amare il prossimo, cioè di far scuola” (da una lettera del 1966). In questo momento l’inno di Ṭalab, ṭalab, ṭalab! risuona più forte che mai.

 Claudia Avolio