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Ṭ-Y-R, l’alto volo

Arte zoomorfica islamica
Arte zoomorfica islamica
Arte zoomorfica islamica

Questa è una radice che mi ha spiegato la mia famiglia. Un pomeriggio da un pino altissimo un passero cadde sulla testa di mio fratello. Lo portò a casa, lo mise fuori in balcone e io lo sentii chiamare la madre con tanta disperazione e così a lungo che quella stessa notte morì. ‘asfar, un passero, è qualcosa di cui i poeti arabi cantano molto. Per il siriano Nizar Qabbani (1923-1998) ‘asfar diviene l’amata, “Fintanto che sei il mio amore, mio passero verde, allora Dio è nel cielo”, e le svela che “L’amore è un intaglio sulle piume dei passeri”. Per l’iracheno Badr Shakir al-Sayyab (1926-1964) nato in un villaggio vicino a Basrah, nel suo amato paesino di Jaykur, “Il canto della pioggia solletica il silenzio dei passeri sugli alberi”. E proprio in “Ritorno a Jaykur” lo sentiamo esortare: “Permettete che gli uccelli / Permettete che le formiche / Banchettino pure sulla mia ferita”. Scorgiamo più avanti anche Adonis quando “Non avevo che inchiostro e la notte cresceva come lanugine di passeri”.

Sì, sono certa, ṭuyūr (gli uccelli) e ṭāra (volare, spiccare il volo) me li ha insegnati la mia famiglia. Nel ’76 mia madre Vincenzina scrisse una poesia che intitolò Testamento. Si immaginò lasciare ciò che le stava più a cuore spartendolo tra i suoi cari. Alla madre lasciò il suo silenzio (“quando resterai sola, ascoltalo. Ti farà compagnia”). Al padre invece la sua fede (“è poca cosa, ma ti darà coraggio quando ti sentirai perduto”). Alle sorelle e al fratello lasciò “il mondo”, e al suo amore? “Le briciole che metto ogni mattino d’inverno alle finestre – dalle ai miei cari passeri affamati”. Questa è una cosa che poi mi ha insegnato a fare, da piccola, il davanzale del balcone restava sempre pieno di briciole.

E la tettoia, curiosa lastra semitrasparente che evoca la campagna, era un danzante teatro all’insù: ogni tanto qualche uccello (ṭayr) si veniva a posare e io potevo vederne solo il cerchio d’ombra che ne donava il riflesso sulla tettoia. Potevo sentire il tramestio dei suoi passetti e del becco che trovava qualcosa: era una festa. La domenica lo spettacolo diventava itinerante: non molto lontano da casa, sacchetto di riso o di mais alla mano, si andava dai piccioni (ḥamāma, in arabo). Io e mio padre sotto la statua di San Francesco (che è il nome di mio padre, poi) e un signore dalla barba lunga e folta che un tempo era stato maestro e ora viveva lì, tra i suoi ḥamāma. Li sentivi picchiettarti il palmo impaurito per mangiare quei chicchi che avevi portato con te: ti facevano sentire che davvero era domenica.

Ho scoperto che nel Corano gli uccelli vengono presi come emblema dell’esistenza di Dio. Nella Sūratu an-Nahl (la Sura delle Api), il Versetto 79 recita: “Non vedono che gli uccelli sono tenuti sospesi a mezz’aria nel cielo? Nulla li tiene su se non Dio”. Quei ṭuyūr che il mistico persiano Farid ud-din ‘Attar (1145-1220) ha fatto incontrare nella sua “Conferenza degli Uccelli” (1177). Circa quattromilacinquecento versi cantati dagli esemplari stessi, per decidere chi, tra gli uccelli del mondo, ne sarà re.  Per Franco Battiato i ṭuyūr “Aprono le ali, scendono in picchiata, atterrano meglio di aeroplani, cambiano le prospettive al mondo…”, e in quei voli registra dei “codici di geometrie esistenziali”. Per poi cantarlo anche lui, quel “Re del Mondo” come gli uccelli nei versi di ‘Attar, ma in questo caso “ci tiene prigioniero il cuore” quel re, e ricordando la guerra canta “Strano come il rombo degli aerei da caccia un tempo / stonasse con il ritmo delle piante al sole sui balconi…”

banksy_2Sapete come si forma in arabo la parola aereo? Rendendo femminile una delle parole per uccello (ṭā’yr). Diventa così ṭā’yra. A guidarlo troviamo ṭayyār, l’aviatore, che in veste di ṭayyāra, aviatrice, diventa anche l’aquilone. Ne abbiamo visti volare tanti qualche giorno fa, ritagliati e colorati dai bambini siriani rifugiati nel campo di Zaatari a nord della Giordania. Cinquecento bambini e le loro frasi alla Siria come “Baḥabbak ya Sūrya” e “Sūrya ḥurra” venivano sospinte alte nel cielo, per chiedere pace nella Giornata mondiale per i Rifugiati. Allora ho ricordato la figura nera che Banksy, il writer londinese, ha ritratto sul muro di Gaza: una bambina portata in volo dai suoi palloncini sta per superare quel muro. Ed è apparsa da qualche parte Shehrazade col suo racconto sul Cavallo d’Ebano, che Marc Chagall amò tanto da ritrarlo insieme ad altre storie de Le Mille e Una Notte. Questo cavallo d’ebano era talmente ben fatto da sembrare vero, e un indiano che l’aveva portato in dono presso la corte di Shiraz, dove risiedeva il re di Persia, sapeva farlo volare.

“Piedi… perché li voglio se ho ali per volare?” annotò l’artista messicana Frida Kahlo sul suo diario il giorno che il dottore dovette amputarle tre dita del piede. Una frase che sembra poterla far risorgere come l’Araba fenice che gli Egizi chiamavano Benu e che si diceva assumesse la forma del sole che sale nel cielo. Danilo Dolci scrisse qualcosa che pare rievocarla: “L’alba diventa l’ora degli uccelli superstiti”. E notò come “Sono uguali due rondini se non sei rondine”. “Morire Partire Tornare è il gioco delle rondini” si legge su un muro di Beirut a firma “Florian” nell’immagine che la libanese Zeina Abirached ci regala e che dà proprio il titolo alla sua graphic novel edita da BeccoGiallo “Il gioco delle rondini” (che si chiamano sunūna in arabo).

Come ci ricorda la poetessa siriana Hala Mohammad “il nido è di chiunque lo costruisca”, e riesce a fare eco al verso di Erik Lindegren, poeta svedese, che colpì tanto la poetessa ebraica Nelly Sachs: “Perché il nostro solo nido sono le nostre ali”. Per Nelly Sachs si poteva sostenere il peso delle esistenze solo con qualcosa capace di un volo estremamente leggero: “Due farfalle reggono per te il fardello dei mondi”. L’augurio legato a ṭāra, il volare, che più mi piace è quello che ci fa Mario Luzi, quando spera per ognuno di noi in quel tu: “Tu almeno non discendere dalla tua altezza d’allodola”. La lingua araba ci aiuterà certo nel compito di quest’alto volo che ha inventato perché lo volassimo anche noi.

Claudia Avolio